Il modo migliore per interpretare e restituire la complessità fenomenologia che ha connotato la tradizione musicale di Viggiano, in provincia di Potenza (Basilicata), consiste nel rimandare alla metafora dell’unicità e nell’evocare immagini di assoluta e di straordinaria irripetibilità. Non vi è certamente al mondo alcuna comunità umana ed alcuna etnia, che possano effettivamente essere definite tali, prive di sonorità e di una qualche forma di musicalità.
Tuttavia, non vi è nessuna località che possa annoverare una tradizione così radicata e consolidata costituita da un connubio assolutamente sorprendente tra musica popolare e musica colta, tra musici di strada e virtuosi interpreti di orchestra, tra artigiani del legno e liutai raffinati, tra esecutori ad orecchio e compositori eccelsi. Una inaspettata ed inusitata civiltà della musica è quella che si originò tra Settecento e Novecento a Viggiano. Una cultura musicale che dall’alto delle vette appenniniche seppe irrompere nelle città borboniche, napoleoniche, asburgiche, ecc. demolendo quelle immagini che volevano il sud Italia assolutamente arcaico e barbaro, selvaggio ed anacronistico.
Una tradizione musicale che seppe creare un filo sottile attraverso il quale le città europee e le montagne meridionali avviarono una relazione culturale intensa e duratura che soltanto gli imperativi tardo ottocenteschi di controllo dell’ordine pubblico riuscirono a far incrinare.
...mitica e cosmopolita
Se non fosse per la preziosa documentazione di cui si dispone estrapolata da fonti archivistiche, letterarie, iconografiche, giudiziarie, legislative, museografiche, ecc., che della tradizione musicale fornisce una testimonianza certa ed inequivocabile, la cultura musicale di Viggiano finirebbe inevitabilmente per assumere i connotati dell’inverosimile per scivolare nel regno dell’oscuro e dell’indefinito, dell’indicibile e dell’ineffabile.
Molte delle famiglie di Viggiano tra Settecento ed Novecento, sebbene secondo modalità differenziate, furono interessate e coinvolte dal fenomeno dei musicanti di strada, fenomeno che le accomunava ad altre della Liguria, della provincia di Parma e di Piacenza, e della Ciociaria. I musicanti “Viggianesi”, tuttavia, pur condividendo con i musicanti di altre località la strada e la piazza, l’emigrazione e i lunghi viaggi, si differenziavano per il tipo di strumento musicale adoperato: non strumenti meccanici assai diffusi in quegli anni e che non richiedevano alcun talento, bensì violini, flauti e, cosa assolutamente straordinaria nel panorama nazionale ed internazionale, l’arpa, una piccola arpa diatonica portativa con meno di venti corde, da essi stessi costruita.
L’attività dei musicanti di strada probabilmente saltuaria ed estemporanea, nel corso del tardo Settecento si rafforza e si consolida attraverso il ruolo esercitato in Europa e nel Mediterraneo da una grande ed importante capitale come Napoli la cui novena natalizia costituiva un regime temporale festivo protetto in grado di consentire ai montanari ignoti di accedere alla città e di vendere ciò di cui i cittadini necessitano: musica sacra per i presepi e le edicole votive.
Tra Ottocento e Novecento i musicanti di strada raggiunsero le piazze delle maggiori città d’Europa e degli Stati Uniti. Richieste di passaporto e resoconti di ambasciatori italiani riferiscono di musicanti viggianesi incontrati in Russia, a Cuba, in Turchia, in India, ecc., mentre numerose fotografie inviate dagli Stati Uniti, da Londra, da Melbourne attestano che la musica dei viggianesi si è diffusa pressoché ovunque. Nei primi decenni del Novecento, quasi per magia, la tradizione popolare si professionalizza. Mediante significative e sorprendenti dinamiche di mobilità sociale, numerose famiglie di musicanti avviarono i propri figli presso il Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli e Santa Cecilia di Roma.
E’ da questi centri di formazione culturale celebri in tutta Europa che i viggianesi iniziarono la loro carriera nei circuiti internazionali più importanti: Leonardo e Giuseppe De Lorenzo, Albert e Victor Salvi, De Stefano, Francesco Miglionico, Nigro, Francesco Pizzo, ecc., avranno il privilegio si esibirsi nelle orchestre e nei teatri più importanti del mondo, tra cui il Metropolitan di New York.
…misconosciuta ed indecifrabile
Musici o accattoni? Inetti furfanti e nulla facenti piuttosto che artisti generosi e valenti? Abominevoli oziosi e spregiudicati questuanti, abili imbonitori di strada piuttosto che innocui viandanti? Vagabondi erranti, sovversivi e criminali piuttosto che abili mestieranti ed artigiani della musica?
E’, fondamentalmente, una figura ambigua quella del musicante di strada in perenne bilico tra il “fascinans” ed il “tremendum”, tra legalità ed illegalità, tra eccentricità e normalità. Una figura del limite, liminare per l’appunto, che congiunge e che allo stesso tempo disgiunge il quotidiano normale dal festivo meraviglioso, una figura nella quale ciascun osservatore, ciascuna epoca, ciascuna città, ha potuto rispecchiarsi, vedendovi esattamente ciò che intendeva vedere: le sembianze demoniache dell’alterità estrema o lo sguardo timido, simile a quello di cartomanti, fachiri, illusionisti ed altri professionisti della vita errabonda, che con un fare orgoglioso rivendicano il proprio diritto alla diversità, un diritto ad esserci, sempre e comunque.
Ed è proprio per questa sorta di intrinseca opacità o, al contrario, per via di questo statuto indubbiamente polisemico, che la figura del musicante di Viggiano venne letta in termini alquanto diversi, talvolta contraddittori, posti tra due estremi: il primo di accettazione-esaltazione tipico del romanticismo di inizio Ottocento, il secondo di denigrazione e di criminalizzazione, specie per l’impiego dei bambini, che si affermerà nell’età positivista di fine Ottocento.
…preziosa e raffinata
Nel corso dell’Ottocento il substrato musicale di Viggiano raggiunse uno sviluppo tale che nella piccola comunità lucana (quasi 6000 abitanti posti a circa 1000 metri di altitudine) si originò una florida, ed anch’essa unica, tradizione di eccelsa liuteria. Nella bottega di certo maestro Bellizia, ebanista a dir poco raffinato, di assoluta qualità, vengono prodotte arpe a pedali indorate, con fregi ed incisioni, premiate finanche nelle esposizioni di Napoli e destinate a musicisti celebri e facoltosi.
I musicanti di strada, invece, che sono anch’essi produttori di musica e divoratori di strumenti musicali, si rivolgono ad altre botteghe da dove prende corpo un’arpa più semplice, diatonica e positiva, ma non meno suggestiva ed efficiente, la cui cassa armonica viene prodotta con un materiale speciale, assolutamente autoctono, che garantisce alla musica una sonorità che sarà definita da taluni tipicamente viggianese. Si tratta di un pero selvaggio che svetta sulle cime appenniniche. La tradizione liutaia dei viggianesi continua nel Novecento con Vito Reale che negli Stati Uniti dona a Nixon un violino di propria fabbricazione mentre la tradizione nel campo della costruzione delle arpe viene condotta ai massimi livelli mondiali con l’azienda fondata da Victor Salvi, nato a Chicago da madre viggianese e da padre veneziano, abile liutaio, recatosi proprio a Viggiano per la rinomata tradizione liutaia.
...da “sentire”...
La cultura musicale di Viggiano sedimentatasi lungo i secoli e costituita da arpisti, violinisti, flautisti di strada, prima, di orchestra, poi, non appartiene solamente alla sua terra d’origine. Essa, così unica e sorprendente, così anomala e “sui generis”, è assolutamente da considerarsi quale autentico e pregevole patrimonio dell’Italia intera, alla stregua della tradizione liutaria di Cremona. Non solo. Così ricca di storie di musici erranti, così densa di peregrinazioni audaci ed inaudite condotte pionieristicamente in tutti i continenti, contrassegnata da dolori, da speranze, da invocazioni disseminate pressoché in ogni angolo del mondo, essa può essere considerata patrimonio dell’umanità.
Il cammino dei musicanti, a che cosa rinvia, se non al paradigma dell’umanità che ricerca incessantemente se stessa; che cosa richiama, se non lo scambio e l’arricchimento di umanità proprie di tutte le civiltà; che cosa presuppone,se non il fascino dell’oltre e la sfida dell’altrove che connotano ogni avanzare specificatamente stoico.
Il cammino dei musicanti in quanto vicenda epica ed allo stesso tempo eroica, a che cosa si associa, se non alle infinite diaspore, alle immani fatiche di popoli e di uomini sopraffatti da ingiustizie, soprusi, prepotenze, oggi come ieri, qui ed altrove.
Mettersi in cammino sulle tracce della tradizione musicale di Viggiano, ovvero sull’arpa perduta, sulla millenaria saggezza popolare, significa probabilmente questo: non desiderio romantico di recupero del passato andato; non anelito di soccorso alla memoria debole; non volontà di tutela del ricordo fragile, piuttosto tentativo di configurare orizzonti “altri” di pratiche e di significati possibili.
La cultura musicale di Viggiano da arcaica e folkloristica tradizione meridionale da impiegare per mere, se pur importanti, finalità di rivitalizzazione per il Nuovo Mezzogiorno, può aspirare a diventare qualcosa di ben più articolato, complesso e promettente: epifenomeno universale di civiltà trascorse, paradigma di umanità profonde da catturare, stringere, da sentire, esemplificazione di una micro realtà capace di aprire un rapporto dialettico e dialogico, del tutto originale, con orizzonti di ben altro tenore. E’ questa fondamentalmente la provocazione più forte che dalla tradizione giunge alla modernità: la musica quale strumento di relativizzazione dei confini geografici, di disancoraggio da logiche mercantilistiche e localistiche. La musica, pertanto, quale medium interculturale per il superamento di confini etnici, religiosi e politici.
La musica, in-fondo, come pro-fondo “sentire” dei popoli, delle civiltà, della loro irridicibile umanità.
Enzo Vinicio Alliegro
Università degli Studi di Napoli Federico II